12II contributo dell’Azione Cattolica al cammino diocesano
verso il Convegno di Firenze
Catanzaro, 7 ottobre 2015

+ Mansueto Bianchi

Cosa è il Convegno ecclesiale?

– Convegno a metà del decennio degli orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo” (2010-20);
– 50° conclusione Concilio;
– una “stagione” quarantennale di convegni ecclesiali (5: Roma, Palermo, Loreto, Verona, Firenze);
– a doppio versante: sulla vita interna della Chiesa e sulla vita del Paese;
– “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: rischio di genericismo/intellettualismo. “Chi è in Cristo è una nuova Creatura/uomo nuovo”;
– partito con Papa Benedetto (le grandi sfide antropologiche), preparato e realizzato con Papa Francesco: Vangelo come stile di vita; spazi di umanesimo negato; segmenti di nuovo umanesimo presenti tra di noi, nella vita concreta delle nostre Chiese (sono pervenute quasi 300 testimonianze di questo “nuovo umanesimo” in atto).

A cosa serve il Convegno?

Pare che il senso del Convegno, di un convenire delle chiese che sono in Italia, si possa riassumere in questi passaggi: il primo senso sta nell’animare, cioè nel vitalizzare, nel sensibilizzare, nel rendere partecipi le nostre comunità. Il Convegno ecclesiale, cioè, come un grande processo di animazione pastorale di animazione culturale. Questo è anche lo scopo dell’invito e della traccia. Non a caso la traccia che voi avete tra le mani è destinata ai “consigli” non solo diocesani, ma ai consigli pastorali parrocchiali, a chi opera nelle parrocchie per svolgere un lavoro di animazione e di servizio.
Il secondo senso di un Convegno ecclesiale è quello di parlare: alla Chiesa, alla comunità cristiana, ma anche alla comunità civile, alla società.
Un terzo senso del Convegno ecclesiale, che attraversa anche tutto il documento della traccia, è certamente il discernere, il fare un esercizio prezioso di discernimento.
Quattro sono i criteri per fare discernimento sul vissuto ecclesiale e sociale: la verità (leggere con verità la situazione), la complessità (cioè leggere senza semplificazioni, senza pretese di costringere attorno ad un unico elemento la varietà delle cose), il criterio della speranza (cioè del vedere come l’impegno stia crescendo, come la grazia sia all’opera), il criterio della progettualità (cioè del discernere per progettare qualcosa).
Il quarto elemento, in questo senso, del Convegno ecclesiale, dopo “animare, parlare, discernere”, io lo sintetizzo nella parola “seminare”. Il Convegno ecclesiale, a mio parere, è un grande momento per seminare, non tanto per arrivare a delle scelte definitive, quanto piuttosto per generare delle scelte. Se penso a Verona, la scelta di lavorare attorno agli ambiti è stata una seminagione: oggi cominciamo a intuire l’importanza di quegli ambiti, tanto è vero che la stessa traccia, li riprende, non li elimina, non li toglie. Fa una scelta diversa, ma li ribadisce. Quello è stato uno dei germi che Verona ha seminato. Per cui occorre immaginare il Convegno ecclesiale come un momento di semina più che di raccolta.

Detto questo a mo’ di introduzione, vorrei raccogliere la nostra riflessione attorno ad un verbo che il Papa ci ha affidato (udienza AC, 3.5.2014) e che ritroviamo negli Orientamenti per il triennio dell’AC e nella traccia per il Cammino verso il Convegno ecclesiale Firenze 2015: il verbo “andare per le strade/uscire” (cfr. Evangelii Gaudium).
– L’Annuncio, il primo annuncio, anche evangelicamente si connette con questo verbo (cfr. Mt. 28,19 “andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli…”); Mc. 16,15 “andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”.
– “Uscire” è fare ecclesialmente come ha fatto Dio in Gesù di Nazareth: porre il centro nella periferia, la prossimità/vicinanza nella lontananza. Perciò la Chiesa, l’AC, lo impara dal Signore, dal “rimanere” dinanzi a Lui, dall’ascoltare la Sua parola (come Maria a Betania) che costantemente ci evangelizza.
– “Uscire” è superare/rovesciare una Chiesa che si guarda allo specchio, subisce il trauma dell’erosione; e reagisce intristendosi/appassendo, o diventando “ringhiosa”/parallela al mondo/tempo, o “scodinzolando”/conformandosi al mondo/diventando la Chiesa della citazione: il 1° annuncio come citazione/già detto/frase da salotto (della cultura, sociologia, emozione, ecc.)! Che tristezza!
– Dinanzi ad un cristianesimo di minoranza, in una società ampiamente secolarizzata, o ci si chiude (cfr. Cenacolo prima Pentecoste) nella logica della setta, oppure ci si consegna alla logica dell’estroversione (la reazione di Gesù alla crisi Galilaica), consapevoli che la nostra destinazione è il “mondo”, è fuori: la Chiesa è “per servire il mondo in ordine alla Salvezza”.
– “Uscire” è ripensare/riformulare la nostra ordinaria pastorale in funzione missionaria (non fare qualcosa di diverso, di più, ma fare in modo diverso!).
non solo per rispondere alle richieste ma per suscitarle;
per spingere le persone a leggersi dentro e attorno, e vedersi “dalla parte delle radici”: dare nome alle proprie attese!
guardarci con gli occhi di chi è fuori
meno passione per le scadenze, le formule, gli oggettivi adempimenti e più dedizione alle persone, al loro accompagnamento;
criterio principe: le misericordia e la gradualità paziente.
– “Uscire” vuol dire scoprire che la fedeltà è diversa dalla conservazione ed è prossima alla conversione: la conservazione è cenere, la fedeltà è fuoco. Per rimanere fedeli al Signore/Vangelo ed alle persone bisogna avere il coraggio di cercare/tentare/sperimentare, motivatamente cambiare (“si è sempre fatto così” è durezza di mente e pochezza d’amore). Questo è il concetto biblico e cattolico di Tradizione, assai diverso dalle tradizioni!
Nel mondo biblico la Tradizione si può assimilare alla Torah, e le tradizioni alla Mishnáh (raccolta di leggi applicative della Torah dal 70 d.C. al 3° secolo): esse sono come una “masora”, le tradizioni sono come una “siepe” (Rabbì Aqibà) che difende la Legge dalla dissipazione/svuotamento, ma può anche impedire l’eccesso e la vivibilità della Legge.
– Per “uscire” bisogna essere leggeri, (centrati sull’essenziale, cfr. Mc., 6 solo “bastone e sandali” per strade in salita e sassose, non prendere “denaro” cioè neppure spiccioli di rame; Mt., 10; Lc. 9): rendere più elastiche ed essenziali le nostre strutture/apparati ecclesiali perché la dotazione del missionario è leggera. Occorre dunque purificarle, semplificarle, renderle trasparenti al Vangelo, cercarne di nuove: in questo non avere paura!

L’affanno pastorale che vivono le nostre diocesi/parrocchie, i nostri preti (che non arrivano più a fare…) è sintomatico ma anche pedagogico. Dobbiamo chiedercelo anche per la nostra Associazione, l’AC!
– Non tutto ha la stessa importanza o è comprensibile/vivibile fin dal primo momento: prima il Vangelo/Gesù Cristo poi la dottrina, la morale, il diritto, ecc. (cfr. gerarchia delle verità, nel Vaticano II).
– Anche il linguaggio cambia per una Chiesa in uscita: propositivo non impositivo, che valorizza il bene e le scintille di luce presente null’altro, dialogico, testimoniale, non assertorio o escludente, capace di mediazione pedagogica.
– L’uscire verso le persone/la vita. L’Annuncio del Vangelo alle persone, alla vita, non è mai solo parola, ma è persone, è vita, sono mani, gesti, opere trasfigurate dal Vangelo (cfr. Gesù ed i miracoli). Abbiamo un concetto troppo intellettualistico, dottrinario, libresco di Annuncio. Occorre lo stile dell’abitare/stare dentro/immergerci.
L’annuncio ha bisogno di opere, di realizzazioni, di comunità, di visibilità: deve essere sperimentato, incontrato, toccato: è la dimensione sociale dell’Annuncio (cfr. Evangelii gaudium, cap. 4); è la risposta che quasi 300 comunità cristiane (diocesi, aggregazioni) ci hanno dato in preparazione al Convegno di Firenze: sono la fioritura del “nuovo umanesimo” già in atto, in mezzo a noi.
Esso, il primo annuncio, ha bisogno di vite, di persone che mostrino persuasivamente la bellezza e la fioritura d’umanità dell’essere credenti (cfr. la santità dell’AC!… scuola di Santità” la santità soprattutto laicale, feriale).
Esso infine ha bisogno della Parola, dell’annuncio esplicito, tematico, che sia l’alfabeto, la chiave di lettura di ciò che facciamo e viviamo, traendolo dal mutismo o ambiguità.
– Una Comunità cristiana “in uscita” ha una forte gravitazione sui poveri “mi ha inviato per recare l’Evangelo ai poveri” (Lc. Sinagoga Nazareth) (Evangelii gaudium) concreta: “Chi non ha toccato i poveri non li ha mai incontrati” (P. Francesco) sia come destinatari privilegiati/preferenziali, sia perché il Vangelo ci viene incontro attraverso di loro: attraverso ciò di cui sono umanamente ricchi, ciò che non hanno, ciò che dovrebbero avere e potrebbero essere, il Vangelo ci viene incontro: lasciamoci evangelizzare dai poveri nel momento in cui desideriamo evangelizzarli.
– L’annuncio del Vangelo una Chiesa in uscita, è una Chiesa caratterizzata (solcata, incisa) dalla misericordia. Una Chiesa “ospedale da campo” (ci dice papa Francesco). La misericordia che precede il giudizio, non lo abroga, ma lo comprende e lo supera: non sulla persona, ma sulla oggettività del comportamento.
I precetti e l’amore: le ali della rondine (Sant’Agostino)
Senza l’incontro tra verità e amore non c’è Chiesa.
Nel cristianesimo la verità e l’amore, sono una cosa sola: il Vangelo, la persona di Gesù!
La misericordia ha anche una motivazione antropologica: la persona/il cuore è “di più”, è più grande delle opere e delle vicende, soprattutto degli errori e anche delle colpe. La misericordia perciò è un atto di credito/fiducia nella persona, nelle risorse del suo “cuore”, ma è anche un atto che confessa la potenza e la provvidenza di Dio.
– Per “uscire”, per l’Annuncio occorrono Comunità cristiane, un’Associazione AC, “umanizzate”, intrise di misericordia (non di qualunquismo, non di “ma che vuoi che sia”, non di snobismo progressista), attente alla persona, alle singole storie di vita, accoglienti non di pelle (galateo) ma di animo, di “viscere” (cfr. Lc. “si mosse a compassione”: Nain, Samaritano, Padre misericordioso). Occorrono comunità che siano “casa” e ti facciano sperimentare che tu sei atteso, prezioso: come fa Dio! Importanza dei rapporti personali “intensi” in AC e nelle Parrocchie: essere davvero “casa” per le persone!
– Per “uscire”, per l’Annuncio, occorre un forte ancoraggio ecclesiale/inserimento nella comunità, perché è la Chiesa che evangelizza e noi a suo nome, per suo mandato; è la Chiesa che è al servizio del mondo (non di se stessa) in ordine al Regno/Salvezza.
– Un evangelizzatore è un esponente ecclesiale, non un “fissato” o un cavaliere solitario; senza eccentricità né protagonismi.

Occorre perciò per l’AC e per il laico un forte ancoraggio ecclesiale per alimentare la vocazione ad impegnarsi, assumere responsabilità (soprattutto in campo sociale, civile, economico, politico), mantenendo interiore libertà e distacco da ciò che tratta (questo vale anche per le cariche associative).
L’ancoraggio ecclesiale serve anche a mantenere il senso del relativo, ciò di scelte storicamente situate, che non possono mai essere assolutizzate o estese a tutti perché realizzano una “parzialità di bene”. Eppure dall’interno fermentano e spingono la vita/storia verso l’assoluto del Regno.
– Una Chiesa che annuncia, in “uscita”, deve respirare il clima della corresponsabilità nel suo interno, soprattutto verso il laicato.
Essa nasce dalla personale responsabilità e la esige.
Si radica e si costruisce con una scelta condivisa e convinta, da parte dei presbiteri e dei laici ed esige da ambedue il superamento del clericalismo (laico promosso = clero).
Vive delle motivazioni e nel clima della comunione: questa è missionaria per sé: “guarda come si amano” (Atti).
La corresponsabilità è assunzione di relazioni mature e affidabili tra le persone: non emozione, strategia, calcolo.
Si esercita spesso in un clima di fatica e di pena, perché siamo reciprocamente opachi: coraggio e pazienza!
Far prevalere l’incontro sullo scontro/la motivazione sulla passione.
Il luogo in cui si costruisce la corresponsabilità sono gli Organismi di partecipazione ecclesiale.
– L’AC crede e sceglie la Parrocchia come luogo tipico e capitale per maturare ed attuare la scelta dell’“uscire” del proprio annuncio.
Crede che abbia la vitalità e possa assumere le caratteristiche per essere protagonista di questa nuova stagione.
Essa è relazione e vicinanza stabile tra generazioni diverse, tra classi sociali.
Essa è luogo valido di presenza capillare sul territorio, di vicinanza alla vita della gente, luogo di incontro e accoglienza con le periferie umane presenti sul territorio.
Occorre però che accetti di ripensarsi in profondità, di riformularsi pastoralmente come comunità “in uscita”.
L’AC sceglie convintamene la parrocchia perché vuole collocarsi come forza e spinta “in uscita” dentro la Parrocchia stessa, profezia di evangelizzazione dentro la comunità.
– Occorre subito aggiungere che la figura, certo non esclusiva, ma tipica dell’Evangelizzatore/annunciatore oggi, di questo “uscire”, è il laico,
Per la prima evangelizzazione dell’Europa fu il monaco.
Per l’evangelizzazione del nuovo mondo sec. XVI-XVII (terre scoperte) fu il Religioso (Domenicani, Francescani, Gesuiti).
Oggi è il laico perché:
il primo annuncio oggi accade nell’ambito della relazione personale, non del rapporto singolo-folla come era ieri.
Dentro la vita ordinaria/feriale di tutti.
Esposto senza protezione alle sfide/problematiche del tempo.
In contatto/relazione personale con molte persone.
Capace di far vedere il Vangelo con la vita, con il senso che esso le apporta, con il “di più” di umanità che caratterizza il cristiano.
– Ma per essere protagonisti di questo “uscire” per l’evangelo, e per essere un’AC come forza profetica dentro la parrocchia, bisogna che i laici siano persone esperte delle periferie, che siano già “usciti” e possano guidare gli altri dove essi già stanno (cfr. Mosé sull’Oreb, ecc.).
In questo senso occorre che i laici siano davvero “immersi” nel mondo/vita (lavoro, relazioni, famiglia, educazione, società, politica, …) ma senza esserne “sommersi”: saldamente cristiani e vigorosamente uomini/donne del nostro tempo (V. Bachelet) per porre in dialogo queste due realtà.
Non è possibile essere “immersi” e non “sommersi”, senza una solida vita spirituale, personale, familiare, ecclesiale (Eucaristia, ascolto della Parola, Sacramenti; preghiera personale, accompagnamento spirituale).
È il “trasfigurare” di cui parleremo al Convegno di Firenze.
È il fondamento solido/roccia degli altri quattro verbi.
– Così l’AC è “ponte” (Paolo VI) non tra due sfere (Chiesa e mondo/vita) tra loro opposte/estranee, ma tra loro coordinate e finalizzate: la Chiesa/Vangelo per la vita del mondo.
Questo ruolo di “ponte” comporta spesso una tensione o spinta tra forze fragmentate e divergenti di cui la vita spirituale è il principio di coordinamento ed armonizzazione.
– La strada dell’uscita/annuncio chiede al laico di avere una empatia con il mondo e gli ambienti umani cui si rivolge: l’annuncio non nasce dal disprezzo!
Chiede anche la capacità di gioire ed apprezzare i piccoli risultati frutto di grandi fatiche, senza vittimismi: la gioia Nazaretana del poco, dei piccoli risultati.
– Occorre non avere l’ansia del persuadere/conquistare, ma saper prima ascoltare, riconoscere, valorizzare le ragioni dell’interlocutore, altrimenti è proselitismo.
– La proposta associativa di AC è di per sé evangelizzante, in un tempo di “individualismo triste” (Evangelii Gaudium, 2).
La “gioia” ne è il segno e la condizione, dono Spirito Santo.

Da qui l’impegno a vivere bene, l’essere comunità cristiana come pure l’essere associazione di AC, ed il coraggio di offrirla/proporla in mezzo alle vicende della vita, dentro la pluralità delle relazioni e delle persone.