A cura di Gaetano Viscomi, consigliere diocesano di AC

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L’inizio di questo nuovo triennio era stato indirizzato, da Papa Francesco, attraverso 3 “semplici” verbi: Custodire, Generare e Abitare. Come è avvenuto per i 2 anni precedenti “Tutto quanto aveva per vivere” (Custodire) e “Di una cosa sola c’è bisogno” (Generare), l’anno associativo 2019/2020 sarà guidato dal verbo Abitare con l’iniziativa annuale “Lo avete fatto a me”. Ma per abitare, cosa si intende?! Essere discepoli missionari per noi è impegno a stare nel mondo. Desideriamo innanzitutto vivere la nostra missione nel riconfermare la scelta educativa di essere accanto ad ogni uomo e donna per sostenerlo nel cammino e accompagnarne i passi, stando in mezzo alla gente, nei luoghi della quotidianità, dando il nostro contributo nel mondo sociale, politico ed economico, come laici che incarnano il Vangelo nel mondo inculturandolo. Questo abitare ci invita a rivedere i linguaggi e le strutture che dell’evangelizzazione sono responsabili per essere sempre più coinvolgenti e non esclusivi, ci invita ad abitare le periferie, costruire cultura nelle carceri, nelle fabbriche, nei quartieri. E proprio con “Lo avete fatto a me”, brano del Vangelo tratto da Mt 25, 31-46, abitare, oggi, significa fare proprio l’atteggiamento della comunità cristiana così come viene descritto nella Lettera a Diogneto; è incarnare quella condizione apparentemente contraddittoria di piena cittadinanza e di totale estraneità alle logiche del mondo, una condizione che diventa in sé presenza missionaria solo se è capace di contagiare con il piacere e la bellezza di credere insieme. Queste parole indicano il cammino che le nostre associazioni diocesane, in questo terzo anno del triennio, saranno chiamate a fare, anche alla luce dello slogan di quest’anno “Lo avete fatto a me” per raggiungere tutte le periferie e lì essere Chiesa. Mi soffermerei un attimo sul passo del Vangelo, non è un’omelia, intendiamoci, ma una riflessione e una “spiegazione” trovata qualche giorno fa. Conoscete il passo? Brevemente, quando il Figlio dell’uomo ritornerà nella gloria, dividerà gli uomini in due gruppi. Quello alla sua destra, sarà premiato con il Regno dei Cieli, poiché in ogni occasione hanno fatto del bene al prossimo, proprio come se lo avessero fatto a Gesù stesso, da qui “lo avete fatto a me”; mentre quello alla sua sinistra sarà punito con il fuoco eterno perché, al contrario dell’altro gruppo, quei gesti non sono stati minimamente accolti, per cui il Signore fa notare che non lo avrebbero fatto nemmeno a Lui. Ecco, L’incipit rende bene l’idea: il Figlio dell’uomo è un monarca fatto e finito, circonfuso di gloria, con tanto di corte angelica, e trono. C’è di più: secondo l’autore ispirato, il Cristo non è sovrano di un popolo soltanto, ma di tutti i popoli. Colpo di scena: all’improvviso, il re di tutti i popoli, diventa l’affamato, l’assetato, lo straniero, colui che non ha neppure uno straccio da mettersi addosso e, per giunta, pure malato… Prevedibile lo stupore di quei giusti raccolti alla destra del Figlio dell’uomo: “Signore, quando mai… e ti abbiamo servito?”: lo stesso dicasi per gli ingiusti, che stanno a sinistra: “Signore, quando mai… e non ti abbiamo servito?”: la distanza che un sovrano deve porre tra sé e i sudditi Cristo l’ha azzerata, in virtù della Sua passione, morte e risurrezione. La parabola non è affatto una metafora: sulla croce, Gesù fu veramente affamato, assettato, morente, nudo. Si sa che la Legge ebraica non annoverava la crocifissione tra le pene capitali: lapidazione sì; crocifissione no. Secondo il diritto penale romano, invece, la croce era prevista per i crimini più efferati, commessi dagli stranieri. Ciò che è logico per Dio non lo è per gli uomini; non è un dogma, ma un principio di metodo: non dobbiamo solo credere alla Parola di Gesù senza discutere; è necessario metterla in pratica, in questo caso, cambiando mentalità nei confronti degli ultimi, degli emarginati, dei perdenti… L’unità di misura dell’amore per Dio è l’amore del prossimo: “Se non sapete amare colui che vedete, come potrete amare chi non vedete?”; l’unità di misura dell’amore per il prossimo è l’amore di sé: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.La pagina di Vangelo ascoltata si trova al capitolo 25; subito dopo inizia il racconto della Passione. Secondo il progetto del primo evangelista, questa pagina costituisce l’ultimo insegnamento di Gesù, il suo testamento spirituale. Più che un affresco dai toni inquietanti e dal vago sapore intimidatorio su ciò che accadrà alla fine del mondo, la parabola è un decalogo su quello che dobbiamo fare nella vita presente, per poterci presentare al cospetto di Dio con il cuore in pace e la coscienza tranquilla.Non so se qualcuno tra voi, si sia soffermato a guardare il manifesto. Sembra quasi, per disegno e colori, un quadro impressionista che inquadra una tipica scena cittadina. Dà, di primo impatto, l’impressione della vita frenetica della città, con tutte quelle persone che camminano per strada e che magari, prese dai più svariati pensieri, non riescono a fermarsi nemmeno per un Segno della Croce.È proprio qui che bisogna ABITARE, ossia incarnare quella condizione apparentemente contraddittoria di piena cittadinanza e di totale estraneità alle logiche del mondo, una condizione che diventa in sé presenza missionaria solo se è capace di contagiare con il piacere e la bellezza di credere insieme, per riprendere le parole dette prima. Come associazione siamo chiamati a rinnovare la nostra attitudine a fare del discernimento comunitario il criterio essenziale da vivere in una pluralità di forme, luoghi, tempi, dinamiche. Siamo chiamati ad abitare il nostro tempo con slancio missionario. Insomma, un’AC per essere laici testimoni credibili NEL mondo e non DEL mondo! Adesso saranno brevemente presentati i progetti formativi di ogni settore, partendo dall’ACR arrivando agli adulti, che ci accompagneranno durante l’anno. Sottolineo brevemente, perché ci sarà chi meglio di me, saprà spiegare nei minimi dettagli tutte le sfaccettature dei vari cammini.

 ACR

Come sapete, o dovreste sapere, questo, per l’ACR, è un anno molto importante, poiché ricorre il suo 50esimo compleanno. Nei giorni dal 31/10 al 2/11, a Roma si svolgerà il Sinodo dei Ragazzi e, visto che non potranno partecipare tutti i ragazzi, come regione Calabria si è pensato ad una festa regionale, che si svolgerà il 27/10 a Lamezia Terme, per poter festeggiare tutti insieme. Per tutte le informazioni, potete rivolgervi tranquillamente ai responsabili di settore. “È la città giusta” è lo slogan annuale che, attraverso l’ambientazione della città, accompagnerà il cammino di fede di tutti i nostri accierrini. La città descrive solo in apparenza un paesaggio “statico”. C’è infatti un aspetto che non va trascurato, ed è il dinamismo interiore della città, concepita come spazio per la vita di relazione, dentro la quale si sviluppano storie e rumori, in processi di demolizione e continua costruzione. A fare la città, insomma, non sono infatti solo “le pietre” ma anche la vita che a quelle “pietre” dà un anima. Nell’anno della compagnia i bambini e i ragazzi sono chiamati a vivere pienamente la loro appartenenza alla Chiesa in uno stile comunionale che mai diventa esclusivo. Per vivere la compagnia è allora necessario che i piccoli non siano considerati come i destinatari passivi di una proposta in attesa di una non meglio specificata pienezza, ma discepoli-missionari in cammino nel popolo di Dio. Appartenere e dunque “abitare” la Chiesa vuole dire sentirsi partecipi, in virtù del Battesimo, della sua missione evangelizzatrice. Abitare in pienezza e con senso nuovo i luoghi e gli ambiti delle realtà civili ed ecclesiali, restituendogli significato e credibilità e ponendo in esse il seme buono del Vangelo, sono tappe essenziali nella costruzione di quell’opera meravigliosa che è il bene comune: questa È la città giusta!

 GIOVANISSIMI E GIOVANI

Anche qui, e anche poi per gli adulti, il cammino di fede è guidato dal verbo Abitare. È questo il primo obiettivo: stare nel mondo, viverlo e mettersi al servizio dell’uomo da laici credenti, credibili e responsabili. Con il passo biblico che accompagnerà quest’anno, bisogna riscoprire l’importanza di vivere il presente e ogni attimo, senza la smania di inseguire il momento giusto perché il momento giusto è adesso.Soprattutto riscoprire e riflettere sul valore comunicativo degli sguardi, ora che sempre più la Chiesa sta guardando ai giovani. Sarà dunque compito degli educatori e formatori, attraverso anche e non solo l’utilizzo delle guide, coinvolgere tutti i giovani e giovanissimi affidatici dal Signore, facendo così dell’AC una casa accogliente per tutti. Nello specifico “Qui è ora” vuole declinare la vita dei giovanissimi (15-18 anni) attraverso quattro modus vivendi che sono la pazienza, la fedeltà, l’appartenenza e la gratuità. “Alla tua altezza” invece, la guida giovani (19-30 anni) invita a posare lo sguardo, verso se stessi e le scelte che ogni giorno si è chiamati a prendere, verso gli altri con cui si intrecciano relazioni significative e infine verso le comunità, luoghi privilegiati di testimonianza e impegno quotidiano.

 ADULTI

Infine gli adulti. Il racconto di Matteo (25, 31– 46 ) fa riflettere sul tempo, su come lo si utilizza e sul termine dell’esperienza umana. La nostra cultura, segnata da una certa paura del limite, della morte, della fine, trova un po’ ostico il linguaggio di questo discorso di Gesù che, invece, viene consegnato come dono e Buona Notizia. Spinge, infatti, a guardare avanti, verso la pienezza e il compimento dell’esistenza. Infatti in esso non è descritto ciò che accadrà nel futuro (la fine), ma invita a vivere il presente guardando ad esso orientando la propria esistenza verso il Signore e realizzando così, già oggi, una vita buona, bella e beata (il fine). Per fare ciò è indispensabile pensarsi popolo, fratelli, capaci di riconoscere l’altro anche nel bisogno dipinti da quell’amore che fa scorgere nell’altro la persona stessa di Gesù. Alla luce del fine, ogni tempo della propria vita acquista senso e diventa significativo nella misura in cui riusciamo a renderlo, almeno, una timida proiezione nel mondo del grande amore di Dio per l’umanità. Ci facciamo, allora, interrogare dalla nostra esperienza di “abitanti” del tempo: come diventare adulti capaci di viverlo restando aperti al futuro e alle sorprese di Dio? Cosa aiuta a rendere “tempo favorevole”i tempi che ognuno di noi sperimenta (la fine, la memoria, l’attimo, l’imprevisto, l’attesa) in modo da essere adulti significativi oggi? Questo è il filo rosso che lega le diverse tappe del cammino formativo di quest’anno.

Buon cammino a tutti.